Studio Commercialista-CAF dott. Froso

AUTOFATTURA PER IMPRENDITORI E PROFESSIONISTI

Ricorre molto frequentemente che nell'ambito di un'attività economica esercitata sia in forma d'impresa, sotto qualsiasi forma giuridica (impresa individuale o societaria) sia in forma di libera professione intellettuale, si verifichi il cosidetto "autoconsumo" di beni e servizi.

E' un'ipotesi che ricorre tutte le volte che chiudiamo un'attività, anche in forma di impresa individuale ovvero di studio professionale singolo o associato.

I beni e i servizi in questione sono quelli acquistati dall'esercente l'attività economica ovvero direttamente prodotti o realizzati.

Cosa significa "autoconsumo"?

Si tratta di una destinazione dei suddetti fattori produttivi ovvero dei prodotti o servizi realizzati dall'attività a fini estranei alla stessa come ad esempio al consumo personale dell'imprenditore, dei suoi famigliari o del professionista e dei suoi famigliari o comunque, in ogni caso, quando i beni e i servizi sono destinati a finalità estranee a quelle dell'attività economica esercitata.

In tutti i casi trattasi di "autoconsumo esterno" da distinguesri da quello "interno" alla struttura e/organizzazione destinata all'esercizio dell'attività economica (ad esempio quando i fattori produttivi vengono impiegati nella realizzazione del bene o servizio che vendiamo).

L'autoconsumo esterno è rilevante ai fini IVA mentre quello interno no. Entrambi hanno una rilevanza, seppur differente, ai fini delle imposte dirette.

Ci occupiamo oggi dell'autoconsumo esterno e di un caso particolare: l'autoconsumo di un'autovettura da parte di un professionista.

Essendo rilevante ai fini IVA in occasione dell'autoconsumo l'imprenditore individuale o il professionista dovranno: 

  1. emettere una autofattura, numerata progessivamente;

  2. determinare la corretta base imponibile ai fini IVA;

  3. determinare la corretta aliquota IVA vigente al momento dell'autoconsumo per quel bene o quel servizio specifico;

  4. scegliere se operare o meno la rivalsa IVA nei confronti del beneficiario del bene o servizio;

  5. determinare le conseguenze ai fini delle imposte dirette nel caso di cessione di bene strumentale che possa determinare una plusvalenza o una minusvalenza sia di natura contabile sia natura contabile e/o fiscale ai fini delle corrette contestuali rilevazioni contabili nel Libro Giornale o nel Registro Cronologico e di conseguenza nel Bilancio di esercizio ed infine nel modello di dichiarazione dei redditi.

Le società emetterranno una fattura nei confronti ad esempio di uno dei soci o dei suoi famigliari beneficiari del bene o servizio.

Come determinare la base imponibile ai fini dell'applicazione dell'aliquota IVA?

Entrano in gioco due elementi:

  1. il prezzo di acquisto storico del bene o servizio oggetto di autoconsumo ovvero il costo di produzione o di realizzazione dello stesso, entrambi determinati nel momento in cui si effettua l'autoconsumo;

  2. la percentuale di IVA detratta dall'imprenditore o dal professionista in origine in occasione dell'entrata di tali fattori nel processo produttivo, tipicamente semplificato nel momento di registrazione della fattura di acquisto del bene o del servizio o dei fattori che hanno reso possibile la realizzazione del bene o del servizio autoprodotto internamente.

Circa il punto 1 non dobbiamo in modo semplicistico considerare, quindi, solo il costo storico di acquisto ma considerare altresi il deprezzamento che il bene o servizio ha subito nel processo di utilizzo interno all'attività economica esercitata.

Va altresi tenuto conto di eventuali incrementi di valore come ad esempio per beni strumentali oggetto di manutenzioni straordinarie e migliorative! In sostanza si deve appurare quello che è il valore residuo del bene al momento del prelievo.

Per i beni strumentali è opportuno considerare le quote di ammortamente stanziate fiscalmente e dedotte a tali fini.

Ai fini delle imposte dirette per i beni strumentali autoconsumati e della corretta applicazione dei principi contabili e di redazione del Bilancio occorre altresi determinare il "valore normale" del bene al momento dell'autoconsumo.

Confrontando tale valore con quello residuo, sia contabile sia fiscale, possiamo rilevare l'emergere di una plusvalenza o di una minusvalenza sia di natura contabile che di natura fiscale.

Non è detto che i due valori coincidano.

Il valore normale fa riferimento a situazioni di mercato di libera concorrenza, con uno stadio di commercializzazione similare al tempo e luogo in cui avviene l'autoconsumo.

Il valore residuo fa riferimento alla differenza contabile (ribaltabile in tutto o in parte fiscalmente) tra i valori storici di carico in contabilità del bene strumentale e il totale delle quote di deprezzamento rilevate annualmente. In tale calcolo, come già detto, incidono anche rivalutazioni o svalutazioni ovvero capitalizzazioni di costi per incrementi di valore straordinari.

Ai fini delle imposte dirette per i beni acquistati non strumentali o prodotti per la vendita ovvero per i servizi prodotti per la loro cessione, l'operazione di autoconsumo genera esclusivamente componenti positivi di reddito tradizionale (tipici): ricavi per l'impresa, compensi per il professionista.

IL CASO DI AUTOCONSUMO DI UN'AUTOVETTURA A USO PROMISCUO

Esaminiamo il caso di un imprenditore individuale o di un professionista che chiude l'attività e deve "autoconsumare" un bene strumentale, un'autovettura usata in modo promiscuo per l'attività esercitata e soggetta quindi a limiti di deducibilità ai fini delle imposte dirette e di detraibilità ai fini delle'imposta indiretta principale, l'IVA.

Se l'IVA non è stata detratta totalmente, come nel caso specifico, ai sensi dell'art.19 bis del DPR 633/1972 (in tal caso al momento al 40% dell'ammontare) o di altre disposizioni di indetraibilità oggettiva, la base imponibile è determinata moltiplicando la base imponibile (determinata ordinariamente) per la percentuale detraibile.

Il principio è semplice: a valle abbiamo lo stesso trattamento applicato a monte!

Lo stesso trattamento ai fini delle imposte dirette: trattandosi di bene strumentale (cespite) la rilevanza fiscale dell'eventuale plusvalenza o minusvalenza tiene conto del limite di deducibilità fiscale dei costi di acquisto e di mantenimento dell'autovettura, attualemnte pari al 20%.

Riferimenti normativi:

Ai fini IVA D.P.R. 633/1972

Articolo 2 c.2 n.5

Articolo 13 c.2 lett. C

Articolo 19 e 19 bis

Ai fini IMPOSTE DIRETTE D.P.R. 917/1986 (TUIR)

Articolo 54 c.1 bis e 1 ter (professionisti e lavoro autonomo)

Articolo 86 c.1 lett. c) e comma 3 (imprenditore)

IL REGISTRO UNICO NAZIONALE DEL TERZO SETTORE (RUNTS)

Il nuovo Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS), pronto a fare concretamente il proprio debutto a livello nazionale, è uno strumento individuato dal Titolo VI del Codice del Terzo Settore.

Solo iscrivendosi al registro è possibile definirsi Ente del Terzo Settore (ETS) nonchè particolari tipologie di ETS quali le Organizzazion di Volontariato (ODV) o le Associazioni di Promozione Sociale (APS).

Esiste sia una struttura statale presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che soprattutto strutture operative presso le singole Regioni o le Province Autonome.

Lo scopo della tenuta di questo registro è di fornire per la prima volta nella storia una sorta di pubblicità e trasparenza a tutti gli ETS, similare a quella in vigore da decenni per le imprese commerciali.

Saranno consultabili da tutti, quindi, i dati di base, sia anagrafici che strutturali, dell'ETS nonchè i rendiconti, le relazioni di missione, i bilanci sociali.

Ogni ETS iscritto dovrà dotarsi inoltre di PEC (posta elettronica certificata) e dovrà depositare annualmente bilanci e rendiconti, redatti in maniera uniforme.

Il RUNTS si compone di sezioni, ampliabili in futuro. Quelle previste attualmente:

  1. ODV;

  2. APS;

  3. enti filantropici;

  4. imprese sociali, incluse le cooperative sociali;

  5. reti associative;

  6. società di mutuo soccorso;

  7. altri enti del Terzo Settore

Per iscriversi occorre rivolgersi alle strutture regionali territoriali.

Vanno depositati documenti quali statuto, atto costitutivo, ultimi bilanci prodotti e altri allegati e dichiarazioni del rappresentante legale, schede di progetti sociali.

L'Ufficio ha tempo 60 giorni per accettare, rifiutare o chiedere implementazioni della domanda presentata.

Entro il 30 giugno di ogni anno gli ETS dovranno depositare:

  1. rendiconti e bilanci;

  2. rendiconti delle raccolte pubbliche di fondi;

  3. modifiche delle informazioni anagrafiche e di altre informazioni già comunicate.

E' importante la norma per cui qualsiasi variazione, deposito o iscrizione nel RUNTS è opponibile a terzi entrati in contatto con l'ETS solo dopo l'avvenuta pubblicazione nel Registro stesso a meno che non si provi che i terzi ne erano comunque a conoscenza.

Le ODV e le APS già esistenti saranno iscritte automaticamente nel Registro ma le strutture territoriali potranno chiedere ulteriori dati mancanti.

Il RUNTS verrà revisionato ogni tre anni e ogni iscritto dovrà mantenere i requisiti per l'iscrizione pena la cancellazione dal Registro stesso.

Ricordo infine che competente per ogni decisione del RUNTS è il TAR (Tribunale Amministrativo Regionale).

BAR DEI CIRCOLI PRIVATI ED ASSOCIAZIONI: TRATTAMENTO FISCALE E RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Il bar gestito da un circolo ricreativo è da tanti oggetto di interesse sia per i gestori stessi che per l'amministrazione finanziaria e le amministrazioni locali.

Cerchiamo, in questo articolo, di fare il punto sulla questione, partendo dalla normativa tributaria.

Una premessa è doveroso farla: quando si parla di bar di un circolo facciamo riferimento ad un locale (non aperto al pubblico) gestito da una associazione.

Si puo' trattare di una associazione culturale aventi fini ricreativi ovvero di una associazione sportiva dilettantistica o anche di una associazione di promozione sociale: oltre a queste tre categorie di enti no profit ve ne sono chiaramente altre ma credo che la maggior parte dei bar associativi ricadano all'interno della suddetta ipotesi.

La base di riferimento per la normativa tributaria sono gli articoli 4 del decreto che disciplina l'IVA (il 633 del 1972) e gli articoli 143 e 148 del Testo Unico per le Imposte sul Reddito (DPR 917/1986, TUIR) relativamente alla disciplina per le imposte dirette.

Storicamente le attività di spacci, mense aziendali, somministrazioni di pasti erano sempre e comunque attività commerciali, anche se svolte da un'associazione che non ha fini di profitto e anche se svolte nell'ambito diretto o indiretto delle proprie attività istituzionali.

Somministrare pasti non significa però somministrare alimenti e bevande, ovvero gestire un bar: nel primo caso si manipola il cibo, lo si trasforma dal punto di vista organolettico, nel secondo caso al limite si scalda cibo precotto o si fa il classico panino infarcito.....

E' sorto storicamente il dilemma ci come considerare tale attività.

Andando indietro nel tempo una Circolare del Ministero delle Finanze del 1979 (la 25) escludeva la qualsiasi tassazione e commercialità l'attività di bar ma a distanza di quasi 20 anni in una risoluzione del 1995 (la 217/E) cambiò orientamento: necessaria la partita IVA e lo scontrino!

A fronte di questo gli orientamenti della giurisprudenza sono stati talvolta contrastanti ma in generale se da questo tipo di attività non si ricava lucro ovvero la somministrazione di alimenti e bevande viene fatta a sola copertura dei costi, un orientamento prevalente della Cassazione porta a non considerare commerciale tale attività. 

A risolvere il tutto il comma 5 dell'articolo 148 del TUIR e il comma 6 dell'articolo 4 del' DPR IVA, che hanno statuito che solo le Associazioni di Promozione Sociale (APS) riconosciute dal Ministero dell'Interno, nel rispetto di determinate condizioni, possono essere esentate da considerare commerciale la gestione del bar riservato ai soci.

La prassi amministrativa si è poi conformata a tale orientamento (Circolare 124/E del 1998) mantenendo altresi un orientamento del 197 (Circolare MinInterno del 19 febbraio) che stabiliva un numero minimo di 100 soci per le APS riconosciute a livello nazionale.

A livello di amministrazione locale un DPR del 2001 (il 235) ha reso in vigore un regolamento per la semplificazione del rilascio di tali autorizzazioni e anche a livello locale viene sancita la differenza tra APS riconosciute dal Ministero per i propri fini o meno.

Non dimentichiamo infatti che una APS che intenda gestire un bar riservato ai soci deve presentare al Comune una Denuncia di Inizio Attività (DIA).

Nell'ambito delle condizioni di esercizio del bar occorre rispettare quelle igienico sanitarie, di sicurezza dei locali e di regolarità edilizia degli stessi (ad esempio non possono aprire un bar in un locale classificato come magazzino).

Da ricordare che devono essere presenti altre condizioni come Statuti associativi redatti in maniera tale che vengano rispettate le condizioni per godere delle agevolazioni tributarie, i locali possono essere aperti solo ai soci, agli associati (soci di altre associazioni facenti parte della stessa APS) ovvero agli affiliati (non soci di altre associazioni facenti parte della stessa APS nazionale ma aderenti solo all'ente nazionale direttamente), il locale non deve essere aperto al pubblico ed avere accesso diretto su strada pubblica (classica porta chiusa con indicazione di "accesso riservato ai soci").

Ricordiamo infine che questa attività decomercializzata non deve essere attività prevalente o unica dell'associazione ma solo di supporto e complementare ad una piu' generica attività istituzionale di carattere sociale.

E' interessante rimarcare come la Corte di Cassazione abbia sottolineato in cosa consista questo carattere di "complementarietà": la gestione contabile tra entrate e uscite del bar deve essere sostanzialmente in pareggio ovvero se risulta un avanzo lo stesso deve essere giustificato in occasione dell'approvazione del rendiconto annuale da parte dell'Assemblea dei Soci (e in precedenza del Consiglio Direttivo che ne ha approvato la bozza).

La giustificazione puo' essere rapportata alla necessità di liquidità per copertura di altre attività istituzionali i cui contributi ai costi, versati dai partecipanti all'attività, risultassero non sufficienti alla copertura dei costi.

Un altro elemento suggerito dalla Cassazione è l'esistenza o meno di una rilevante organizzazione in forma d'impresa preposta alla gestione del bar: ovvero gli investimenti realizzati per l'esercizio dell'attività.

Altro elemento critico è la pubblicità: mi capita spesso di vedere APS o enti no profit in genere che si dilettano, tra cartellonistica stradale e inserzioni Google o Facebook, a spendere in tal senso.

Un rischio notevole di vedere contestata la commercialità della propria attività complessiva.

LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Con l'entrata in vigore della riforma del Terzo Settore e del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) le APS non avranno piu' una base normativa nell'articolo 148 del TUIR bensì nell'articolo 85 del Codice del Terzo Settore (D.Lgs 117/2017).

La normativa tributaria agevolativa non è cambiata ma per le APS che saranno ETS non sarà piu' possibile accettare nei propri locali a uso bar gli affiliati, come sopra descritti.

Massima attenzione in tal senso.

ASSOCIAZIONI E LEGGE DI BILANCIO 2021: SARANNO OBBLIGATE TUTTE AD APRIRE LA PARTITA IVA?

Non bastavano i tanti mesi in cui si sono dovute limitare le attività associative per i provvedimenti governativi emanati per fronteggiare l'emergenza sanitaria per la diffusione del virus Covid Sars-19: questo anno 2020 sale alla ribalta delle cronache “dal mondo del terzo settore e del no profit in genere” per una bvera e propria “minaccia” incombente.

Le modifiche sono state introdotte nella legge di Bilancio 2021 sulla spinta di una delle numerose procedure di infrazione sollevate dall'Unione Europea nei confronti del nostro paese: in particolare questa procedura risale al 2010 ed è numerata come 2008.

LE MODIFICHE 2021 ALLA NORMATIVA IVA PER LE ASSOCIAZIONI

Il disegno di legge di Bilancio 2021, in discussione nei rami del Parlamento, prevede in un articolo ua norma che, se approvata, andrebbe a modificare sostanzialmente la normativa IVA per le cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate da:

  1. associazioni di interesse pubblico a favore di soci, associati e partecipanti;
  2. cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate verso i membri di organismi senza fini di lucro di carattere generale;
  3. prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport;
  4. cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate in occasione di manifestazioni propagandistiche, incluse quelle per la raccolta di fondi;
  5. somministrazioni di alimenti e bevande presso le sedi delle associazioni di promozione sociale.

DA FUORI CAMPO IVA A ESENTE IVA: NASCE LA NECESSITA' DI EMISSIONE DELLA FATTURA PER TUTTE LE ASSOCIAZIONI

Tecnicamente vengono modificati due articoli della nomativa IVA di base (DPR 633/72): l'articolo 4 quarto comma e l'articolo 10.

Le suddette operazioni erano indicate nell'articolo 4 quarto comma come FUORI DAL CAMPO IVA e, se la norma diventerà legge, verranno indicate nell'articolo 10 mutando la propria natura in ESENTI IVA.

Per il profano non cambia molto: per le cessioni di beni e prestazioni di servizi nei confronti dei soci, associati e partecipanti non dovrà essere richiesta l'imposta sul valore aggiunto (IVA).

Per l'esperto invece cambia molto: una operazione considerata ESENTE DA IVA è un'operazione comunque rientrante nel campo di applicazione dell'imposta nel senso che non dovrà essere richiesta l'IVA al socio ma dovranno essere messe in funzione tutta una serie di procedure ed adempimenti previsti dalla legge in capo all'associazione, anche per quelle che prima operavano solo con il codice fiscale.

I NUOVI ADEMPIMENTI AI FINI IVA DEL 2021 PREVISTI PER TUTTE LE ASSOCIAZIONI, ANCHE QUELLE OPERANTI CON IL SOLO CODICE FISCALE

Questi gli adempimenti:

  1. aprire partita IVA presso l'Agenzia delle Entrate;
  2. emettere fattura ESENTE IVA per tutte le operazioni di cessione beni e prestazione di servizi effettuate verso i propri soci, associati, partecipanti;
  3. registrare le fatture in appositi registri;
  4. valutare se le fatture emesse rientrino o meno (a seconda della tipologia di associazione) nell'esenzione dal pagamento delle imposte dirette e quindi di conseguenza se occorrerà o meno presentare le dichiarazioni dei redditi;
  5. presentazione di dichiarazioni dei redditi, IRAP ed eventualmente IVA.

Se tutto questo diventerà obbligatorio inutile nascondere che sarà consigliato rivolgersi ad un commercialista specializzato nella materia.

I NUOVI ADEMPIMENTI AI FINI DELLE IMPOSTE DIRETTE E IRAP DEL 2021 PREVISTI PER TUTTE LE ASSOCIAZIONI, ANCHE QUELLE OPERANTI CON IL SOLO CODICE FISCALE

Emettere una fattura per i servizi o i beni ESENTE IVA non significa in via automatica che la stessa preveda che i corrispettivi fatturati debbano essere assogettati ad imposizione diretta e all'IRAP.

In tal senso la nuova normativa, applicabile anche per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extrascolastica della persona, non dovrebbe intaccare i benefici arrecati dalla legge all'articolo 148 comma 3 del Testo Unico Imposte Redditi (DPR 917/86).

Questo articolo infatti pattuisce che: “Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, nonché per le strutture periferiche di natura privatistica necessarie agli enti pubblici non economici per attuare la funzione di preposto a servizi di pubblico interesse, non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati".

Il comma 4 poi, per chiarezza, esclude dai benefici di cui al comma 3 le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, le somministrazioni di pasti, le erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore, le prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito e le prestazioni di servizi portuali e aeroportuali e le prestazioni effettuate nell'esercizio delle seguenti attività:

  1. a) gestione di spacci aziendali e di mense;
  2. b) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici;
  3. c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;
  4. d) pubblicità commerciale;
  5. e) telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.

I benefici dell'articolo 148 non saranno applicabili agli enti che sono entrati a far parte del Terzo Settore, mediante l'iscrizione al Registro Unico Nazionale, in quanto per essi varrà la disciplina fiscale prevista dal decreto che norma gli ETS (Enti Terzo Settore) che già prevedeva la commercialità delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi agli associati e partecipanti, eccetto che per le associazioni di promozione sociale (tale tipologia di associazione obbligatoriamente dovrà divenire un ETS iscritta al Registro).

Per esse dovrebbe continuare ad applicarsi la non imponibilità ai fini reddituali dei corrispettivi.

COSA ACCADE PER GLI ENTI NO PROFIT RESIDUALI?

Se per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extrascolastica della persona abbiamo visto che non ci si dovrebbe trovare di fornte a nuovi imponibili fiscali per le altre tipologie residuali di enti no profit il discorso è diverso.

Il fatto che il corrispettivo rientri nell'alveo del CAMPO DI APPLICAZIONE DELL'IVA, seppur trattandosi sempre di operazioni ESENTI, comporterebbe la tassazione dei corrispettivi fatturati ai soci, associati e partecipanti.

Il rischio, per questi enti è, quindi, quello di diventare di fatto Enti commerciali in quanto saranno preponderanti le operazioni considerate commerciali, rispetto alle altre.

La definizione di Ente commerciale non preclude, però, il mantenimento dell'iscrizione al RUNTS (Registro Unico Nazionale Terzo Settore) per gli Enti del Terzo Settore (ETS) come ad esempio le ex ONLUS, le associazioni di mutuo soccorso ecc.....bensì solo l'applicazione delle normative agevolative in materia.

IL DUBBIO PER LE SSD

Infine si sta dibattendo sulla futura disciplina delle Società Sportive Dilettantistiche (S.S.D.) a responsabilità limitata.

Per esse la legge 289 del 2002 articolo 90 comma 1 aveva reso applicabile la disciplina tributaria delle A.S.D. pertanto si dovrebbe rendere applicabile l'esenzione da IVA anche per questa tipologia di enti in relazione alle cessioni di beni e prestazioni di servizi eseguite nei confronti di associati e partecipanti all'attività sportiva dilettantistica.

ASSOCIAZIONI SPORTIVE DILETTANTISTICHE (ASD) E ATTIVITA' “BORDERLINE”: QUANDO SONO CONSIDERATE COMMERCIALI E QUANDO SONO DETASSATE

 

Ci sono attività che le associazioni sportive dilettantistiche (ASD) svolgono per finanziare l'attività principale (in termini di tempo ed energie dedicate), che rimane l'attività sportiva dilettantistica, riconosciuta dal CONI.

Tali attività possono avere un collegamento diretto, palese, con l'attività sportiva mentre altre possono essere “borderline”, con un collegamento in parte o del tutto indiretto: queste ultime attività spesso sono considerate attività commerciali e comportano l'obbligo di dotarsi di partita IVA e di emettere fatture o registrare corrispettivi.

Vorrei, in questo breve articolo, affrontare alcune di queste casistiche concrete, ed illustrare i riferimenti normativi, di prassi o giurisprudenza, ancorchè personali suggerimenti, derivanti dalla esperienza come commercialista.

I DISTRIBUTORI AUTOMATICI NELLE PALESTRE E NEGLI IMPIANTI SPORTIVI

E' una casistica molto frequente: diciamo subito che l'attività in questione è da inquadrare nell'ambito del commercio al dettaglio di bevande ed alimenti. 

E' quindi commerciale al 100% ma, a differenza di un distributore automatico situato su strada pubblica o di un negozio di alimentari, è una attività che viene svolta in un luogo privato, non aperto al pubblico.

La premessa è infatti che la palestra o il centro sportivo siano ad esclusivo utilizzo degli associati della ASD ovvero ai tesserati nazionali della medesima federazione nazionale o ente di promozione sportiva.

In questi casi vanno rispettate le normative in materia di igiene e sanità e di sicurezza pubblica ma non occorre avere preposti all'attività con qualifiche professionali e autorizzazioni comunali.

Nella maggior parte dei casi la ASD non gestisce direttamente questo “business” ma stipula un accordo con un soggetto esterno, una ditta o una società, che cura sia il rifornimento che gli incassi: la ASD riceve in questi casi un compenso per la concessione in uso dello spazio.

Attenzione perchè il compenso ha natura commerciale e va fatturato: esiste, infatti, tecnicamente un vero e proprio “sinallagma” contrattuale, al di la della forma del contratto.

Consiglio in ogni caso di stipulare apposito contratto in forma scritta di concessione d'uso e di registrarlo.

LA CESSIONE DEL MATERIALE SPORTIVO O DELLE ATTREZZATURE SPORTIVE AI PROPRI SOCI

Questa attività, molto frequente, è spesso “borderline”.

L'articolo 148 comma 3 del DPR 917/86 (TUIR) sancisce per gli enti di tipo associativo una fondamentale norma di detassazione dei proventi in denaro o in natura ricevuti dai soci: “Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona non si considerano commerciali le attivita’ svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attivita’ e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonche’ le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati” .

Occorre agire con prudenza nell'applicare questa norma: la Corte di Cassazione sezione tributaria, nel 2008, con la sentenza numero 22739, ha di fatto dato rilevanza non tanto al fatto che la ASD sia iscritta ad una federazione sportiva nazionale (FSN) o ad un ente di promozione sportiva (EPS) quanto al fatto che, nel caso concreto, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi siano effettivamente corrispondenti ai fini della ASD indicati nello statuto, ovvero ad una attività sportiva che rientri tra quelle riconosciute dal CONI.

Se per attività di servizi ai soci non abbiamo grandi difficoltà nell'inquadramento, con riferimento a quelli direttamente connessi all'attività sportiva, per le cessioni di beni invece dobbiamo spendere due parole.

Il successivo comma 4 dell'articolo 148, infatti, esclude dalla detassazione la cessione di beni nuovi.

Cosa accade quindi?

La ASD non puo' quindi abitualmente e con continuità cedere beni nuovi ai soci, ad esempio materiale sportivo, anche a prezzo di costo, senza aprire una partita IVA e fatturare.

Lo puo' fare solo occasionalmente, massimo 2 o 3 volte all'anno e comunque sempre con prudenza e senza far emergere nel rendiconto consistenti margini di guadagno.

Ci sono alternative che suggerisco, per superare la barriera normativa:

  1. trattare con i fornitori di materiale sportivo comprando a proprio nome (ASD) ma per conto dei soci, facendo arrivare il materiale sportivo direttamente all'indirizzo dei soci: si diventa di fatto un gruppo di acquisto solidale;

  2. acquistare il materiale nuovo e poi noleggiarlo ai soci a titolo gratuito (a titolo oneroso si ricadrebbe nella necessità di fatturare), per poi venderlo come bene usato alla fine della stagione.

Capita anche che la ASD possa cedere le attrezzature sportive ad un socio, ad esempio attrezzi da boxe di una palestra o anche un banco di un bar interno all'impianto sportivo.

Cosa succede in questi casi?

Se l'attrezzatura era usata solo ai fini sportivi (sacco da boxe ad esempio) la cessione al socio è esclusa dal campo IVA ai sensi dell'articolo 4 comma 4 DPR 633/72 e non va fatturata, basta una semplice ricevuta non fiscale.

Se l'attrezzatura invece era usata per l'attività commerciale (banco di bar) allora va regolarmente fatturata.

Un po' piu' complesso il caso dei beni ad uso misto: in questo caso va fatto un calcolo percentuale per individuare cosa è rilevante ai fini IVA e cosa no.

I SERVIZI “BORDERLINE” OFFERTI DALLE ASD SUI BENI E SUI MATERIALI SPORTIVI DESTINATE ALL'ESERCIZIO DELLE ATTIVITA' SPORTIVE RICONOSCIUTE

Su questa tematica possiamo solo rimanere sul generico perchè ogni singolo caso di ASD va affrontato concretamente.

Succede spesso infatti che vengano offerti servizi ai soci connessi al bene necessario all'esercizio dell'attività sportiva: pensiamo, ad esempio, al servizio di custodia delle canoe di un circolo di kayak o di canottieri o al servizio di sciolinatura e manutenzione di sci in un centro di sci di fondo riservato ai soci di una ASD.

Se la ASD chiede 10 euro per la sciolinatura dello sci del socio è da ritenersi commerciale l'entrata?

Piu' che sulla base delle norme, in questo caso la risposta la troviamo nella giurisprudenza: ci sono state sentenze della Commissione Tributaria di Milano (9408/42 del 2016) e Varese (109/01 del 2013) che si sono soffermate sulla “inscindibilità” del servizio praticato al materiale o bene sportivo e l'esercizio dell'attività sportiva della ASD.

La prima attività è funzionale ed indispensabile rispetto alla seconda.

Anche un autorevole intervento di prassi, la Circolare 18/E del 2018, dell'Agenzia delle Entrate, ha ribadito un principio fondamentale nell'ambito del trattamento tributario delle ASD in genere: se il bene o materiale sportivo è tra quelli riconosciuti dalla FSN o EPS. come tipico per quella disciplina, caratteristico ed essenziale all'esercizio dello sport praticato, allora scatta la detassazione del contributo pagato per il servizio richiesto dal socio (nell'esempio i dieci euro per il servizio di sciolinatura).

L'operatore tributario per eccellenza, l'Agenzia delle Entrate, si fonda ancora una volta sul “potere” del CONI, inteso come massima autorità sportiva italiana nel riconoscimento delle singole discipline sportive.

REQUISITI FONDAMENTALI PER LA DETASSAZIONE

Ricordiamoli:

  1. esercizio di attività sportiva riconosciuta dal CONI (esiste un elenco preciso);

  2. democraticità della struttura e statuto in regola con le clausole previste dal DPR 917/86 all'articolo 148 comma 8 e dalla legge numero 289 del 2002, articolo 90;

  3. regolare invio del modello E.A.S. all'Agenzia delle Entrate;

  4. affiliazione ad una FSN o EPS riconosciuto dal CONI.